Letteratura sudafricanaFin dalla sua nascita, la letteratura sudafricana ha subito condizionamenti sia dalle divisioni interne alle molte popolazioni, sia dalla pratica della discriminazione razziale esistente tra bianchi e neri. L’espressione letteraria non ha potuto, quindi, a causa di queste situazioni politiche, svilupparsi equamente e in modo continuativo; ecco perché ogni generazione di scrittori è dovuta ripartire da zero ogni volta.

Si possono ricordare, tra i primi autori che hanno raccontato la situazione culturale e ambientale sudafricana perché direttamente coinvolti, Olive Schreiner (1855-1920) che con il suo libro Storia di una fattoria sudafricana (del 1883) racconta con straordinaria efficacia la visione soggettiva dal punto di vista della donna, e Sol T. Plaatje (1877-1932) nel suo libro Mhudi (scritto tra il 1917 e il 1920) descrive l’avventura con riferimenti transculturali evidenti.

Panoramica

Alcuni nomi di grande importanza a livello internazionale sono quelli del poeta Roy Campbell (1901-1957) e dei romanzieri William Plomer (1903-1973) e Laurence van der Post (1906), che diedero inizio alla tradizione detta dell’esilio, cercando un modo che potesse lasciarli esprimere liberamente. Sarah Gertrude Millin (1889-1968) fu autrice di un romanzo di grande intensità e molto ben strutturato, God's Stepchildren (1924), che affronta l’amore fra razze diverse. Eskin Mphahlele (1919) e il mulatto Peter Abrahms (1919), due tra i nomi più rappresentativi degli anni Cinquanta, puntarono di più sul racconto della vita reale nelle città. Un racconto sempre basato sull’approfondimento urbano è quello di Alan Paton (1903-1988) intitolato Piangi, terra amata (1948): anche se non è mai stato molto apprezzato dalla critica, è comunque il romanzo più famoso in Sudafrica.

Il liberalismo che si respirava negli anni Cinquanta venne brutalmente represso nel decennio successivo. Ed è in questo clima ostile che gli artisti intellettuali trovano, attraverso una scrittura autobiografica, un unico modo per poter spiegare come viene vista la loro identità così frammentata; questi riferimenti autobiografici si possono trovare nelle poesie di Brutus Arthur Nortje (1942-1970) e di Mongane Wally Serote (1944). In questo senso, una produzione narrativa che rende ancora di più l’idea è quella che racconta le esperienze di reclusione, quasi a spiegare come l’analizzare la dura vita carceraria atta a depersonalizzare l’individuo fosse un modo per poter invece ritrovare il senso del proprio essere come persona.

Dagli anni ’70 in poi

La reazione all’isolamento che invece ebbero gli scrittori degli anni Settata e Ottanta fu quella di proporre una letteratura impegnata e molto assertiva, rivolta principalmente ai lettori neri. Un ruolo di primo piano lo ebbe anche il movimento Black Consciousness che ha incentivato il nascere di iniziative culturali atte a sostenere il senso di un’identità collettiva. Questa ricerca di identità ha molta importanza anche per gli autori bianchi; anche tra questi scrittori è forte la necessità di confrontarsi con la particolare realtà esistente nel Sud Africa. Gli elementi che fanno parte della vita di tutti i giorni sono un senso di smarrimento, di precarietà e di crisi dei valori, accentuati proprio dalla visione che si è venuta a creare a causa della segregazione.

Due nomi molto noti, nell’ambiente letterario anglofono contemporaneo, sono Nadine Gordimer e Andrè Brink. Nata nel 1923 a Transvaal, Nadine Gordimer ha vinto nel 1991 il premio Nobel per la letteratura; nel suo modo di scrivere si notano i riferimenti ai modelli colti dell’occidente come Flaubert, Shakespeare, Eliot, Proust, Henry James ai quali si aggiungono quelli di cultura sudafricana, rendendo il suo modo di scrivere caratteristico e particolare. Tra le sue opere si possono ricordare Un ospite d'onore (1970) che racconta un’Africa molto ben dettagliata nella descrizione, Storia di mio figlio (1990), Nessuno al mio fianco (1994). Nella sua raccolta di saggi intitolata Scrivere ed essere (1996) si può notare lo sforzo che Nadine ha fatto per ricostruire l’evoluzione del suo modo tipico di scrivere partendo dalle sue esperienze personali e culturali che l’hanno formata.

Lo scrittore Andrè Brink (1935) scrive gran parte delle sue opere in “afrikaans” – traducendole poi in inglese lui stesso – contribuendo così a trasformare e appropriarsi delle lingue coloniali di cui abbiamo parlato. Tra i suoi romanzi più famosi troviamo La prima vita di Adamastor (1993) (una storia a metà tra mito e realtà, che racconta, andando indietro nel tempo, le origini della Penisola del Capo) e La polvere dei sogni (1996) (anche qui si intrecciano la storia recente del Sudafrica con la mitologia familiare). In questo secondo libro l’autore ha scelto di far parlare esclusivamente le donne mettendole nel crocevia tra passato (rappresentato dalla colonizzazione e dall’apartheid) e il futuro (ossia la fine del regime di segregazione e lo svolgersi delle elezioni avvenuto in modo democratico).

Non potendo suddividere le opere letterarie inglesi da quelle prodotte in lingue diverse, prendiamo ad esempio un grande romanziere anglofono con origini afrikaner, John Coetzee (1940). Di epoca postmodernista, Coetzee ha trasformato i modi tipici della scrittura tradizionale sudafricana e, in generale, di tutta la letteratura occidentale puntando l’attenzione sui dialoghi che avvengono all’interno di una famiglia nei rapporti interpersonali, tra chi opprime e chi viene oppresso, tra il narratore e la narrazione. 

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